INTRODUZIONE [1]
I.
Come esprimere la grandiosità della
preghiera liturgica?
Dio ha creato il cuore dell’uomo per riempirlo del suo
amore. Gli parla e questi lo ascolta. In questo divino scambio vi si possono
vedere come tre gradi.
A volte l’uomo è solo; si tratta della preghiera
individuale, di cui è stato scritto: “entra nella tua camera e chiusa la porta,
prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti
ricompenserà”[2].
A volte si tratta di preghiera fatta insieme: “dove
sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”[3]. Nulla nel mondo cristiano
vi è di più diffuso quanto le pie associazioni e confraternite per la
preghiera.
Ma se la preghiera di un solo figlio di Dio ha tanta
efficacia, “se la preghiera di due o tre riuniti insieme” – dice S. Ignazio
d’Antiochia – come quella di ogni assemblea di fedeli costituitasi per loro
stessa volontà e il fascino della loro pietà “ha così tanta forza, che dire
della preghiera di tutta la Chiesa”,[4] cioè dell’atteggiamento
implorante della stessa Sposa di Gesù Cristo!
La preghiera liturgica è la preghiera stessa della
Chiesa; è la voce della sposa che parla allo Sposo, circonfusa di un alcunché
di misterioso che ne fa sulla terra l’inizio dell’unica occupazione degli
eletti.
Con ciò non si vuol insinuare che il mistero della
comunione ecclesiastica sia estraneo alla preghiera delle pie associazioni e a
quella solitaria dei cristiani; la Chiesa è tutta in ogni sua parte e tutte le
vivifica con la sua vita, ma sono a questa subordinate in questa vita e solo in
quanto tali sono da ritenersi grazie.
Pertanto la preghiera liturgia è l’omaggio più grande
che sulla terra l’uomo può rendere a Dio; tutto ciò che la sminuisce è una
disgrazia per tutti e la sua soppressione l’ultimo castigo di cui Dio minaccia
le città: “farò cessare in quel luogo la voce dello sposo e della sposa”[5], il solenne colloquio di
Gesù Cristo con la Chiesa.
I nostri padri ne erano consapevoli e per questo non
si stupivano nel vedere numerosi cori di chierici e di monaci animare la
solitudine delle chiese, facendovi risuonare ad ogni ora del giorno e della
notte la santa salmodia: non ritenevano così facendo di essere inutili per il
mondo. Gli antichi canoni vietavano di consacrare solennemente un luogo di
preghiera senza che vi venisse assicurato un tale perenne servizio, e la gente
nella sua laboriosa esistenza si sentiva sostenuta da queste incessanti
suppliche della santa Chiesa che per i suoi figli pregava e vegliava.
Anche oggi in mezzo a tante disgrazie le vergini consacrate
degli antichi istituti conservano queste preziose tradizioni. Il Carmelo
rifiorisce in ogni dove e anche altri istituti non meno gloriosi ne seguono le
orme.
La presente traduzione dei testi dell’Ufficio è stata
fatta perché queste Spose di Gesù Cristo ne facciano uso. Vi troveranno una
santa e utile preparazione al grande mistero che sono state chiamate ad
adempiere; ma, sia permesso credere, che sempre più spesso la comprensione di
queste cose si propaghi al di fuori dei confini dei chiostri e che le anime
devote con crescente avidità si dissetino alle sorgenti della santa liturgia. Più
ampia conoscenza ne avranno, più ne potranno gioire.
Un grande merito per il risveglio di questa devozione
fondamentale va all’illustre abazia di Solesmes, a causa delle iniziative del suo glorioso
restauratore, se le stesse anime cattoliche si sentono orientate in questo
senso, orientamento salutare e conforme al desiderio della santa Chiesa, nonché
alla tradizione di secoli di fede.
La santa liturgia, infatti, ha tutte le
caratteristiche della Chiesa stessa: antica come gli Apostoli; una nella
sostanza, e, come la tunica del re, non ammette diversità se non negli ornamenti, o se si vuole, nelle
perle e ricami che l’abbelliscono; è universale e è presente in ogni luogo e in
ogni tempo; è santa della santità dello Spirito Santo che dall’interno la anima
e che, parlando per mezzo delle sante scritture e della tradizione, costituisce
l’intera trama delle sacra parole.
Se nella santa liturgia prendiamo in esame da vicino
lo sviluppo di queste parole vi troveremo come tre blocchi, come tre elementi
che formano l’intera trama.
Questi i tre elementi: la lode, le sante letture, la
preghiera.
Con la lode, la
Chiesa parla di Dio, delle sue magnificenze, dei suoi benefici. Nelle sante
letture ascolta Dio che gli parla per mezzo dei santi dottori, con la vita e le
opere dei suoi servitori. Inoltre, con la preghiera la Chiesa parla a Dio
perché venga in aiuto degli uomini.
II.
La parte preponderante della lode divina è
costituita dalla salmodia. I salmi di David, i cantici desunti dai profeti, i
tre cantici evangelici sono il contenuto di questa parte dell’Ufficio.
Perché una tale lode sia degna di Dio, lo Spirito
Santo ne ha dettato tutto il contenuto. È
risuonata già molti secoli prima della venuta del Messia e la Chiesa l’ha
raccolta dalle labbra doloranti dell’antico Israele, per renderla attuale nella
gioia della Redenzione pienamente compiuta.
Nell’antichità la salmodia veniva celebrata in diversi
modi.
Responsoriale, quando il salmo, recitato da uno solo,
veniva ogni tanto intercalato con un versetto a mo’ di ritornello, cantato
dall’assemblea. Attualmente il solo salmo a conservare una tale modalità è il
salmo invitatorio nelle veglie della notte.
La salmodia antifonale, quella recitata da due cori, è
la forma predominante nella Chiesa latina. Questi cori, che come in un santo
dialogo si scambiano le note della divina lode, sono sulla terra come una eco
dei cori celesti e dei serafini, uditi dal profeta Isaia[6]. Caratteristica di questo
modo di salmodiare: l’antifona, versetto principale o testo appropriato alla
festa del giorno e destinato a dare al salmo una particolare interpretazione.
Alla salmodia, come elemento secondario della lode
liturgica, si devono aggiungere gli inni ecclesiastici. Di questi inni il primo
in dignità è il Te Deum, nella forma
simile ai salmi, con accenti d’amore, che viene attribuito a S. Ambrogio e S.
Agostino.
Gli altri inni ecclesiastici seguono le regole della
metrica latina. I più antichi vengono attribuiti a S. Ambrogio, e da S.
Benedetto chiamati “Ambrosianum”. Altri sono attribuiti a S. Ilario, a
Prudenzio, a Sedulio o altri autori più recenti.
Questi inni celebrano i misteri e le magnificenze di
ogni ora del giorno e della notte, dei giorni della settimana, come delle feste
dell’anno.
III.
Le sante letture o “lezioni” proprie
dell’Ufficio liturgico sono desunte dalla Sacra Scrittura, dagli atti dei santi
e dalle omelie dei Padri sui Vangeli. L’Ufficio della notte è per lo più
formato da tali letture.
Altre, dette “capitoli”, più brevi e desunte dalla
Sacra Scrittura, si recitano nelle Ore
del giorno.
Le letture terminano con responsi e versetti, in modo
da portare l’attenzione sull’argomento fondamentale dell’insegnamento sacro e
così celebrare con pia melodia i benefici.
I responsi più solenni sono quelli dell’Ufficio della
notte, dove le letture hanno un più ampio sviluppo. In altri tempi venivano
detti anche al capitolo dei Vespri solenni, usanza conservata nel rito
domenicano e in certi riti monastici.
Responsi più corti, chiamati “responsi brevi”,si trovano dopo la lettura breve o capitolo nelle
Ore del giorno. Un versetto semplice
viene detto ai vespri e alle lodi.
IV.
L’orazione
o colletta è preghiera essenziale
nell’Ufficio liturgico e ne è il coronamento e il compimento. N. S. Gesù Cristo
ne ha lasciato alla santa Chiesa la sua formulazione quando ha detto: “tutto
quello che domanderete al Padre nel mio nome…” “tutto quello che mi domanderete
nel mio nome”[7].
Le collette sono indirizzate secondo questa modalità alla persona del Padre o
alla persona del Figlio Gesù Cristo; mai vengono rivolte alla persona dello Spirito
Santo: lo Spirito Santo ispira e anima la preghiera della Chiesa; poiché da
soli non sappiamo pregare, è “lo Spirito Santo che intercede per noi con gemiti
inesprimibili”.[8]
La colletta, essendo la preghiera liturgica per
eccellenza, segue e manifesta la specificità della gerarchia; è recitata dal
vescovo o dal prete, che in forza del suo sacerdozio, compendia nella sua
preghiera, i voti e le preghiere della Chiesa tutta. L’assemblea silenziosa
interviene al termine di questa solenne preghiera con il misterioso Amen che la conclude. In mancanza del
prete, la persona che presiede l’assemblea supplisce a questa funzione
sacerdotale, in forza del sacerdozio regale da tutti i cristiani partecipato con
il battesimo, che ci incorpora in Gesù Cristo, unico e sommo sacerdote.
A volte la colletta è preceduta da suppliche dette
appropriatamente Preghiere e dagli
antichi designate con il nome di litanie,
perché hanno come inizio le invocazioni Kyrie,
Christe, eleison, che vanno sotto questa precisa denominazione. Il rito
monastico fa uso delle litanie in
ogni Ora dell’Ufficio.
Nell’uso comune le preghiere
sono riservate agli Uffici meno solenni e in tempo di penitenza.
all’invocazione Kyrie eleison o alla
litania propriamente detta segue la preghiera domenicale o altre suppliche in
forma di versetti.
Dopo la colletta, l’Ufficio termina con il congedo
all’assemblea così formulato: benediciamo il Signore, con l’acclamazione Deo
Gratias.
V.
Questi i tre elementi costitutivi che ogni
Ufficio liturgico comporta in una santa armonia anche se più o meno sviluppati:
la lode o salmodia, le letture, la preghiera o colletta.
Vi sono anche alcuni Uffici più brevi chiamati memorie o suffragi che si aggiungono all’Ufficio principale e che sono
considerati secondari. Tali sono le memorie di feste meno solenni non del tutto
oscurate dalle solennità dello stesso giorno, o alcuni di quegli Uffici di
devozione quotidiana detti votivi per analogia alle messe votive
riportate nel messale.
Queste memorie o suffragi conservano una minima
traccia della composizione liturgica: la salmodia rimpiazzata dall’antifona, la
lettura dal versetto, e la colletta invece viene conservata per intero.
In alcune chiese vi sono memorie solenni dove la
lettura e la salmodia sono più ampiamente sviluppate.
VI.
L’Ufficio divino, destinato a consacrare
ogni momento della vita umana, abbraccia con il suo misterioso e antico
ordinamento la notte e il giorno.
L’Ufficio della notte, con i suoi tre notturni,
corrisponde alle tre veglie che secondo gli antichi ne costituivano la durata.
Terminava con le lodi, alle prime luci dell’alba, e che un tempo, per questo
motivo, erano separate dai notturni e dalle veglie con qualche intervallo,
soprattutto nelle lunghe notti invernali.
Queste le Ore del giorno: Prima, Terza, Sesta, Nona. Queste
Ore, meno solenni sono dette piccole Ore, perché la giornata del cristiano
deve comprendere il lavoro imposto ad Adamo e alla sua discendenza.
L’Ufficio di Terza, o della terza ora, che, secondo il
nostro modo di calcolare, corrisponde alle nove del mattino, ricorda la discesa
dello Spirito Santo sugli Apostoli. L’Ufficio di Sesta corrisponde a
mezzogiorno; l’Ufficio di Nona, alla terza ora del pomeriggio, consacrata dalla
morte del Salvatore Gesù sulla croce.
L’Ufficio di Vespro, più solenne, consacra il finire
del giorno, come quello di Lodi le prime luci. Questi due Uffici rappresentano
misticamente, nella nuova alleanza, quello che nell’antico tempio era il
duplice sacrificio del mattino e della sera, e rendono onore alla vittima, di
cui queste immolazioni ne erano la figura, all’Agnello di Dio, vittima del
mattino immolata fin dall’origine del mondo[9] secondo i decreti di Dio,
vittima della sera che consuma il suo sacrificio alla fine dei tempi[10].
Con l’Ufficio di compieta si pone termine al giorno;
ultima preghiera della sera, con la quale i cristiani affidano la loro anima
stanca per le occupazioni e le fatiche del giorno nella mani di Dio e a Lui si
affidano nel riposo.
VII.
Questa la sostanza e la distribuzione della
preghiera liturgica, della quale questo libro è destinato a facilitarne
l’intelligenza e la pratica per le anime sante che, per santa vocazione, hanno
l’onore di farne il loro primo dovere, e per i fedeli desiderosi di
condividerne le gioie e di raccoglierne i frutti.
Una sublime armonia ne regola il tutto e le corde
della lira della Chiesa sono pronte a vibrare al soffio dello Spirito Santo. Le
sante austerità del chiostro, e quelle che l’amore di Gesù crocifisso ispira ai
cristiani, preparano le anime a formare sulla terra questi cori che continuamente
si associano agli eterni canti della celeste Gerusalemme. Ogni santa comunità
monastica, come ogni Chiesa sulla terra, ci dice S. Ignazio martire, deve
partecipare a questo concerto. La lira della Chiesa è pronta e, sotto il soffio
dello Spirito Santo, la Sposa canta Gesù Cristo[11].
Né il giorno, né la notte pongano fine a questo
concerto in modo che tutte le contrade
della terra a gara ne conoscano la dolcezza.
Dom
Adrien Gréa,
superiore
generale dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione
abate
di S. Antonio
Roma 2011. Traduttore: p. Tarquinio Battisti
[1]
Introduzione al breviario romano
tradotto per comunità e persone devote. Traduzione con note. 1916.
[2]
Mt 6, 6
[3]
Mt 18, 20
[4]
S. Ignazio, lettera agli Efesini, 5
[5]
Ger 7, 34; 16, 9, ecc.; Ap 18, 23
[6]
Is 6, 3
[7]
Gv 14, 13-14, ecc.
[8]
Rm 8, 26
[9]
Ap 13, 8
[10]
Eb 9, 26
[11]
S. Ignazio, Lettera agli Efesini, 3, 4